Lo smartworking è diventato ormai parte integrante della vita di gran parte dei lavoratori. Ma a casa i problemi dello smartworking stanno mettendo alla prova molti italiani. Secondo un’indagine effettuata da Nibol gli smartworker hanno sofferto questa situazione trovando come soluzione il bar o in alternativa la seconda casa. Secondo una ricerca dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano: “nella fase più acuta dell’emergenza sanitaria, oltre sei milioni e mezzo di lavoratori dipendenti italiani, circa un terzo del totale hanno sperimentato questa modalità”.
Le nuove modalità di lavoro sono entrate nella quotidianità dei lavoratori italiani e sono destinate a rimanerci. Si stima che al termine dell’emergenza, i lavoratori che svolgeranno il loro lavoro da remoto saranno complessivamente 5,3 milioni. Un’indagine di Nibol su un panel di 20.000 lavoratori ha riscontrato che la casa non è il luogo preferito dove lavorare. L’indagine effettuata dalla start up ha messo in evidenza quali sono gli aspetti negativi che rendono l’ambiente domestico il luogo “più odiato per lavorare”.
La solitudine si posiziona in cima alla lista, il 30% dei partecipanti ha messo in evidenza come lavorando da casa non ci sia la possibilità di interagire con altri colleghi. A questa segue con il 28% delle preferenze la condivisione forzata degli spazi di casa come figli che seguono la didattica a distanza e conviventi in smartworking. Un altro motivo di stress per chi lavora da casa è la convivenza di condivisione di un computer e connessione internet. Per il 20% degli intervistati, lavorare da casa significa perdere completamente il work-life balance.
Lavorare nello stesso luogo in cui si cucina o ci si rilassa, porta ad una continua invasione dell’ambito professionale in quello privato e viceversa. In fondo alla lista, al 10% del panel pesa la sedentarietà e l’impossibilità di muoversi anche solo spostandosi dalla propria scrivania a quella del collega. Inoltre, secondo gli intervistati, stando sempre in casa aumenta la tentazione di aprire la dispensa o il frigorifero per trovare qualcosa da sgranocchiare mentre si lavora, tra una call e l’altra, una cosa che non potrebbe accadere – o sarebbe più difficile – stando in ufficio o lavorando in un contesto diverso da quello casalingo in cui ci si sente troppo a proprio agio.
A spiegare le motivazioni dietro la scelta di creare soluzioni per i lavoratori costretti in caso c’è Riccardo Suardi, fondatore di Nibol: “Nibol nasce per aiutare gli smartworker a trovare postazioni di lavoro in luoghi diversi da casa, come caffetterie, coworking o sale riunioni a tempo. Prima delle restrizioni l’opzione di lavorare in un bar era un’alternativa apprezzata dagli smartworker perché rappresentava una soluzione a diversi problemi emersi durante l’indagine”.
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